Termine derivante dalle donne della Caria, portate come schiave in Grecia dopo la vittoria sui Persiani, indica una statua a soggetto femminile utilizzata come sostegno al posto di una colonna.

Secondo l'architetto romano Vitruvio, che ne parla già all'inizio del primo libro del suo De Architectura, il nome karyatis significherebbe "donna di Karyes": le donne di quella città del Peloponneso sarebbero infatti state rese schiave dagli Ateniesi, pur mantenendo le loro vesti e attributi matronali, dopo la sconfitta e la distruzione della loro patria, come punizione per l'appoggio fornito ai Persiani. In seguito gli architetti greci le avrebbero raffigurate come sorreggenti il peso della loggia dell'Eretteo, per tramandare il ricordo dell'evento.

La spiegazione di Vitruvio va tuttavia correlata con le realizzazioni antecedenti alle guerre tra Greci e Persiani, che si svolsero all'inizio del V secolo a.C..

L'architettura greca le aveva infatti già raffigurate nel secolo precedente (tesoro dei Sifni nel santuario di Apollo a Delfi). In occidente le più antiche sono quelle rinvenute in Sicilia nell’antica città di Iaitas sul Monte Jato e risalgono al V secolo a.C.

Eretteo di AteneEretteo di Atene (da Wikipedia)

Le stesse celeberrime cariatidi dell'Eretteo, sull'Acropoli di Atene, a cui probabilmente Vitruvio aveva pensato, non sembrano tradire la fatica derivante dal reggere il peso ma sembrano piuttosto rappresentare delle imperturbabili korai. Il loro nome deriva forse invece da quello delle fanciulle danzanti della città di Karya, famosa per i suoi cori annuali